MARIA PER SEMPRE
L’attrice francese si è calata splendidamente nei panni della "divina", arrivando a ricalcarne i respiri. «Sa», dice, «il respiro è vita».
Splendida. Nei difficili panni di Maria Callas, il soprano più famoso
di ogni tempo, donna e mito ormai confusi nell’intreccio della memoria,
Fanny Ardant conferma grandi doti di interprete e raffinata sensibilità.
«Avevo già impersonato la Callas in teatro, a Parigi, in Master Class. Ma l’idea di farla davanti alla cinepresa mi intimoriva», sorride Fanny, 53 anni, elegante e bellissima nell’assolata terrazza dell’albergo romano su Trinità dei Monti. «Letto il copione, mi sono lasciata andare con entusiasmo. Ho cercato dentro di me i punti di contatto con una donna che, allora, aveva la mia stessa età e della quale intuivo ansie e sofferenze».
Che cosa l’ha conquistata di lei?
«Mi ha affascinato la sua doppia anima. Da una parte, fragile e sensibile.
Anche troppo. Dall’altra, capace di trasformarsi in belva pur di difendere
la sua arte. E mi ha convinto la chiave narrativa scelta da Zeffirelli: la sfida
di raccontare qualcosa di romanzato su chi è esistito realmente, riuscendo
così a dire più "verità" che raccontando la verità
stessa».
Incarnare un personaggio così amato, in una pellicola pensata per i 25 anni dalla scomparsa (motivo dell’anteprima mondiale a Parigi, il 16 settembre), poteva rivelarsi una trappola. Invece l’Ardant evita la mera biografia sfuggendo al confronto con le migliaia di foto, filmati e testimonianze esistenti sulla "divina". Più che a imitare la Callas, punta a compenetrarsi nell’animo tormentato della donna e dell’artista (anche se i meravigliosi abiti Chanel, esatte riproduzioni di quelli allora indossati dalla cantante, esaltano una somiglianza pressoché sbalorditiva). E al miracolo contribuisce la felice intuizione del copione di Franco Zeffirelli, più volte regista lirico della Callas e, in quanto amico, tra i pochi a conoscerla davvero. Non la banale riproposizione di episodi che hanno segnato la sua vita pubblica e privata: dai difficili inizi in Grecia alle consacrazioni della Scala e del Metropolitan, dal sofferto rapporto con Onassis all’isolamento parigino dopo la débâcle della tournée in Giappone. Piuttosto, l’immaginaria ricostruzione di come potrebbe aver vissuto i mesi finali, in un ultimo sussulto di donna e d’artista.
Nessuno ci dirà se è davvero così che andò, però Callas forever (questo il titolo della pellicola, ora nelle sale) emoziona e ammalia, riuscendo davvero ad avvicinare la "divina" allo spettatore. A fare da tramite l’impresario Larry Kelly (un bravo Jeremy Irons, dietro il quale è facile intravedere lo stesso Zeffirelli) che, recatosi a Parigi a trovare la Callas, decide di scuotere l’amica da angosce, insonnie notturne, rimpianti e tranquillanti. La voce è sparita? Le moderne tecnologie consentono di filmare le immagini, doppiandole con le mitiche esecuzioni di un tempo! Maria è tentata. Entusiasta, torna al lavoro. Perché non girare la Carmen, che lei ha solo inciso senza mai farla in teatro?
È questa la geniale trovata di Zeffirelli, grazie alla quale Fanny Ardant può dare spessore a una Callas mai vista, in un allestimento della Carmen dallo straordinario fascino visivo. E nelle pause, negli incontri, nei colloqui vien fuori la donna, col suo carico di umanità. Fino alla svolta conclusiva, delicatissima.
Fanny, che cosa conosceva della Callas prima di impersonarla?
«La voce, naturalmente, per i tanti dischi ascoltati. Poi l’immagine:
ho visto migliaia di sue foto. Soprattutto quelle rubate, perciò più
vere: l’emozione prima di un concerto, la felicità dopo un successo,
il sorriso mentre passeggia per Parigi assieme a Onassis... Mi colpiva il suo
portamento, il modo di muovere le braccia. Insomma, l’avevo fiutata, un
po’ come fanno i cani. Dopo, lavorando con Zeffirelli, ho capito l’essenza
di questa artista immensa, la sua passionalità, la tenacia che metteva
nel lavoro».
Callas forever emoziona anche per la sua credibilità nelle parti
cantate...
«È il più bel complimento che potesse farmi! Ho lavorato
sodo, mi sono allenata da sola per mesi per trovare la sincronia col playback.
Il walkman era diventato la mia seconda pelle: mentre facevo il bagno o ero
a letto, studiavo la maniera in cui una cantante lirica prende i fiati e articola
le frasi. Ho imparato addirittura a ricalcare il suo respiro. È stato
toccante. Sa, il respiro è vita... Entrare nella voce di un’altra
persona è un po’ come arrivarle proprio vicino al cuore».
La fine del film insinua che la Callas si sia lasciata morire. Cosa ne pensa?
«Essere "diva" è un peso tremendo. Impossibile tornare
a esserlo dopo la caduta. La sua voce non era più quella, il suo cuore
si era spezzato per l’abbandono di Onassis, l’immagine sbiadita...
Per Maria la fatica di vivere dev’essere stata grande. Se in scena "sei"
Traviata o Norma, se provi sentimenti così alti, è difficile poi
apprezzare la quotidianità».
Maurizio Turrioni